RECODING PICASSO
Milano | 19 - 22 ottobre 2023
c/o Haruko Ito - via Tivoli, 8
RECODING Picasso | curatrice Alice Rendon
apertura dalle 10:30
Exploring the manufacturing work of Pablo Picasso through Contemporary Jewellery.
“Ci si aggrappa a idee superate [...]”
Quale più ambiziosa e promettente premessa per celebrare i 50 anni dalla scomparsa del celebre Pablo Picasso?
La mostra RECODING Picasso, ovvero RICODIFICARE Picasso, vuole mantenere aperto e fecondo il dibattito che spiega l’esistenza stessa della gioielleria contemporanea, e vuole farlo attraverso il filtro del genio provocatorio del maestro spagnolo. L’ispirazione picassiana che si focalizzi sulla produzione ceramica della collezione Grassi Vismara presso la GAM di Milano o che guardi poliedricamente alla sua vastissima attività vuole essere il motore creativo per le 10 protagoniste che espongono ciascuna un’opera di gioielleria presso l’atelier di Haruko Ito in Via Tivoli a Brera:
la stessa HARUKO ITO
SIMONA MATERI / ALESSANDRO SAVAZZI
LETIZIA MAGGIO
GISELLA CIULLO
ANNARITA BIANCO
MICOL FERRARA
ROBERTA RISOLO
DANIELA REPETTO
SHEIL ACUNHA
AZUSA KAMOGAWA
La mostra, a cura di Alice Rendon, sarà visibile dal 19 al 22 ot tobre 2023, prendendo parte all’attesissima terza edizione della Milano Jewelry Week.
Testo a cura di Alice Rendon
In occasione dei 50 anni dalla scomparsa del celebre maestro andaluso, la mostra RECODING Picasso, ovvero RICODIFICARE Picasso, si ritaglia il suo terreno di sperimentazione artistica nello spazio intimo e raccolto dell’atelier di Haruko Ito, inserendosi all’interno del vasto calendario di eventi previsti alla Milano Jewelry Week, la settimana meneghina dedicata a narrare la multiforme natura della gioielleria. Dieci protagoniste di formazione, età e provenienza diversa propongono ciascuna un’opera indossabile, mettendo il proprio linguaggio a confronto con alcuni aspetti della produzione picassiana e del personaggio che ci è stato raccontato, obbligando se stesse ad un’evoluzione creativa filtrata dal genio riformatore del maestro spagnolo e nutrendo così la riflessione sulle questioni che interessano più propriamente “l’arte del gioiellare”.
“ Cos’è la scultura? Cos’è la pittura? Ci si aggrappa a idee superate come se il ruolo dell’artista non fosse precisamente quello di crearne di nuove”, affermò Picasso in una conversazione con Brassaï nel 1964. Con l’occasione espositiva, la provocazione del celebre artista diventa la chiave per sommuovere una gioiosa rivolta operata dall’interno, quella che oppone atteggiamenti di emancipazione e sperimentazione agli angusti e annosi pregiudizi legati alla sfera dell’ornamento. “Cos’è un gioiello?”, si potrebbe dunque aggiungere, e come si rapporta alle altre forme dell’espressione artistica più precisamente a quelle che stimolano un confronto diretto e appassionato con la materia? La collezione di pezzi ceramici facenti parte della donazione Grassi Vismara acquisita dalla GAM di Milano è infatti l’aggancio locale alla vastissima produzione artigianale del maestro. L’entusiasmo con cui egli si dedicò alla ceramica a seguito del suo trasferimento presso il villaggio francese di Vallauris nel 1947, riformulando tecniche e stili tradizionali, dimostra che la mente dell’artista dev’essere proteiforme e rizomatica per considerarsi tale. La rilettura della sua figura è quindi un pretesto per invitare il pubblico a riconoscere il ruolo necessario e mai complementare di ogni mezzo espressivo. Icona di libertà e spregiudicatezza, Picasso incarna il modello di artista capace di destreggiarsi magistralmente tra le diverse forme dell’arte, che si tratti di disegno, incisione, pittura, scultura, ceramica,...o gioiello. Lo scambio proficuo tra competenze differenti del mestiere artistico, alla base dell’incontro tra il maestro spagnolo e i ceramisti delle fabbriche Madoura, viene celebrato nel bouquet di pietre di AZUSA KAMOGAWA, in cui le singole parti bombate di metallo lucente imitano la tipica rotondità e la rastrematura dei colli dei vasi, e paiono modellate come fossero argilla dalle mani esperte dell’orafa. Quest’ultima infatti ricorda di un filmato di archivio visto al Museo Yoku Moku di Tokyo che mostra Picasso partire da originali torniti dagli artigiani del laboratorio, per poi intervenirci sopra con deformazioni plastiche e alterazioni pittoriche, trasformando così oggetti inerti in figure animate, allegre ed estrose. Similmente Azusa ci propone una metafora: nell’associazione di immagini suggerita dal titolo, il suo anello d’argento fiorisce di festose pietre colorate.
La grandezza dell’artista spagnolo è riconfermata dalla sua eccezionale capacità di reinterpretare la tradizione di un’arte millenaria, quella ceramica, riscoprendo forme e linguaggi che stabiliscono un dialogo sincronico tra le produzioni espressive delle più antiche civiltà del Mediterraneo.
Nella collana Mondo la giapponese HARUKO ITO si guarda indietro, focalizzando l’attenzione sulla cultura materiale della sua terra d’origine, il bambù, e sulla sua specifica lavorazione. Nel realizzare il suo gioiello, l’orafa decide di impiegare sia l’elemento organico che la sua trasfigurazione nel metallo. Canne spezzate pendono come piume dal collare rigido, costruendo monili che fanno pensare a ornamenti primitivi, raffinati e rudimentali come quelli che componeva lo stesso Picasso per Dora Maar dalle conchiglie raccolte sulla spiaggia.
Nel bracciale rigido lavorato a sbalzo, DANIELA REPETTO dà prova delle sue abilità tecniche di smaltatrice, avviando uno studio sul ‘segno’ di Picasso, immediato e compendiario, e sfidando l’imprevedibilità del procedimento di cottura. Sulla lastra di rame traccia con smalto bianco i lineamenti di un volto – soggetto caro all’artista – e provoca l’ossidazione attraverso il calore del forno. È qui che avviene la magia: il bianco vira, talvolta al verde oppure diventando trasparente, alterando l’immagine, che in alcuni punti si ritira e in altri si espande; mentre il rosso del rame si intensifica e si inscurisce. È la fascinazione del processo alchemico dei materiali che si trasformano in maniera talvolta incontrollabile e che Daniela decide di dominare solo marginalmente. L’oggetto ha subito una metamorfosi sotto il suo sguardo meravigliato, ma mantiene tutta la freschezza della gestualità vibrante e sicura che l’autrice voleva trasmettere in partenza.
SIMONA MATERI, in collaborazione con l’industrial designer ALESSANDRO SAVAZZI, solleva la questione dell’applicazione delle tecnologie CAD/CAM in rapporto alla manifattura ceramica, ritrattando nello specifico il caso della Lampe Femme del 1955. L’oggetto traduce graficamente l’esemplare ceramico antropomorfo e dipinto – che forse fa riferimento a certi vasi greci di forma femminile. Il volto raffigurato sull’originale è sostituito dai profili dei due autori, così come la logica del doppio è richiamata dall’impiego di due colori, quello del bronzo vivo e del verde della patina. Il pendente, che nel suo sviluppo plastico rievoca la potente presenza dell’originale picassiano, nasconde al suo interno un raffinato meccanismo cinetico: i segni che definiscono i volti di Simona & Alessandro sbalzano fuori dalla superficie se premuti sul retro, espandendo il campo spaziale occupato dall’oggetto, che, da un’estensione giocata sulla planarità di superficie, aggetta, (ri)acquisendo valore scultoreo.
La partecipazione dell’indossatore alla scomposizione e ricomposizione del pezzo è alla base della proposta di MICOL FERRARA. Il suo pendente ricalca la forma del cranio che campeggia su di un libro aperto nella stampa picassiana Brocca nera e teschio del 1946. La vanitas, ovvero il genere pittorico della natura morta che ci rammenta la precarietà dell’esistenza, si cristallizza in un talismano dal valore apotropaico. Il cranio in oggetto è stato ricalcato e sapientemente frammentato in tre parti, di modo che ognuna sia dotata del foro necessario per alloggiare e annodare il laccio – una tela per dipingere non ancora trattata con gesso, tributo all’attività pittorica dell’artista. Servendosi della tecnica incisoria, Micol scava sulla lamina di rame una texture di foglie e fiori che oppone alla morte lo sbocciare della vita. La lastra piatta le permette poi di ottenere stampe calcografiche in cui variamente ricomporre la figura del teschio, invitando il proprietario del pezzo a cimentarsi in prima persona nell’esperienza, in piena libertà.
Il tono scanzonato e spiritoso dell’ingombrante pettorale di SHEIL ACUNHA richiama alla mente l’allegra spiensieratezza delle figure che abitano le ceramiche dell’artista ispiratore. Il pendente disegna nell’aria un volto di donna, che, indossato, aderisce alle forme del corpo e ci restituisce indietro lo sguardo. Le parti del viso seguono i movimenti del suo portatore: il naso allungato oscilla come un ciondolo insieme alle labbra color mandarino in quarzo tangerino, che abbozzano una maliziosa smorfia dal profilo frastagliato. Gli occhi cigliati sono spille applicabili nelle più disparate posizioni e invitano l’indossatore a farsi autore del quadro d’argento e cristallo dipinto sul suo petto. Si può manipolare l’immagine, distorcerne o ricostruirne i caratteri distintivi, in modo non dissimile da ciò che accade ai celebri protagonisti scomposti da Picasso.
ANNARITA BIANCO fa parlare di un linguaggio arcano e universale un frammento di ceramica (sintetica), che ricorda anche una roccia erosa dal tempo, supporto di antiche pitture rupestri. Immagini archetipiche come la stella, la piuma, l’ala, ridotte graficamente nell’ottone e nell’inchiostro, si ricollegano alla fascinazione per il mito che percorre l’opera del maestro spagnolo. Annarita intreccia magia e realtà, alludendo a tempi lontanissimi e sconosciuti all’uomo contemporaneo, in cui regnavano armonia ed equilibrio tra gli altri esseri viventi. Il pezzo è intitolato all’animale guida della dea Atena, la civetta, simbolo di perspicacia e discernimento. Presentata come un relitto del contemporaneo, Athena Noctua va infatti appuntata al petto come un saggio ammonimento. La spilla ci suggerisce sommessamente un’alternativa visione del mondo, illuminando l’unico cammino possibile, quello che conduce alle risposte di cui abbiamo più fortemente bisogno.
Le figure allegoriche della donna e del toro – ricorrenti nella produzione dell’artista andaluso – entrano in simbiosi nella spilla di ROBERTA RISOLO. La compresenza dei due soggetti non è di immediata lettura, soprattutto quando il pezzo risulta indossato. La dolce curva che disegna i fianchi della figura e la circolarità del pezzo si ispirano alla generosa rotondità delle rappresentazioni femminili delle ceramiche dell’artista. La sua silhouette costituisce la chiusura, di cui rimangono visibili sul fronte solo i fili in ottone, distesi come braccia aperte e poi attorcigliati per accogliere le perle – rappresentazioni dei seni globulari tipici dello stile di Picasso. Cambiando messa a fuoco, l’immagine trasfigura e assume sembianze animali, di cui intravediamo ora gli occhi e il muso visto frontalmente. Nella mitologia greca il toro è metafora dell’indole bestiale e selvaggia dell’uomo; nella cultura d’origine di Picasso al contempo vittima sacrificale e simbolo di potenza devastatrice. Roberta opera una sintesi, sia formale che intellettuale: nell’identificazione con l’universo femminile la donna diventa riflesso e contraltare della natura taurina, racchiudendo in sé caratteri di vulnerabilità e di espiazione ma anche di fertilità e di forza generatrice.
Oggetto della lettura pungente e sarcastica di LETIZIA MAGGIO è l’ossessività di Picasso per il mondo femminile, spesso sfociata in atteggiamenti di prevaricazione e manipolazione psicologica. Letizia fa luce su una questione che oscura la grandezza del Maestro, sfruttando la cifra stilistica dello stravolgimento della sintassi compositiva dell’immagine ai danni dell’artista stesso. Nel pendente d’argento il volto di Picasso viene deformato come si volesse renderne immediatamente leggibile l’ambiguità d’animo. Il pezzo ha però il tono della spiritosa canzonatura, nel modo in cui la lamina d’oro giallo sagomata ad angolo tratteggia una smorfia sottile e amara sotto al suo caratteristico nasone, che campeggia al centro della maschera nella forma di un seno visto di profilo. Gli occhi di Picasso, ovvero le lenti attraverso cui egli filtra la realtà, sono rimpiazzati da petti femminili rotondeggianti – la firma di Letizia – che si caricano dei riferimenti erotici e passionali caratteristici di una certa produzione del maestro andaluso, intitolata al piacere, al desiderio, all’eccesso, rivelando la crudezza e la morbosità dei suoi rapporti amorosi.
Anche GISELLA CIULLO volge la sua attenzione alla delicata questione dell’abuso psicologico nella sfera affettiva e all’attualissimo tema del consenso, ma lasciando che sia la controparte femminile ad esprimersi questa volta. Lungo la catena che compone il corpo della collana si agganciano insieme, come a sostenersi l’un l’altre in un mutuo e solidale soccorso, rappresentazioni grafiche degli attributi di genere: riconosciamo, in uno stile sintetico che omaggia il maestro, bocche, genitali, orifizi, occhi, capezzoli e il simbolo universale dell’identità femminile. La collana, che si distende visibilmente sul petto dell’indossatrice, assume i toni della denuncia urlata a pieni polmoni: “NO” recita il pendente a chiare lettere, su quello che a prima vista appare come un coccio infranto di un vaso di ceramica e che sotto la patina acrilica nasconde invece un pezzo di resistente legno d’ulivo. Questo materiale – prediletto da Gisella – celebra ora la natura resiliente della donna, come risposta positiva alle fragilità che hanno segnato tragicamente il destino di alcune delle più note amanti dell’artista. Delle sue numerose compagne, ad una sola infatti la storia riconosce la forza di aver reciso un legame giudicato velenoso, Françoise Gilot, la stessa con cui Picasso condivise la sua esistenza a villa La Galloise, nel piccolo borgo di vasai dove avviò la prolifica attività dedicata alla produzione ceramica.